Benvenuti all’interno del mondo di Emir Trerè, in questo mio blog personale, dove troverete tutto quello che riguarda i miei viaggi, i miei pensieri, le mie emozioni alla scoperta della mia America.
Fin da piccolo, avevo questa visione. Questa idea di grandi spazi aperti, illuminati dal sole. Rimanevo impressionato dal forte contrasto dei colori tra l’azzurro del cielo e il rosso delle montagne.
La grande passione per gli Stati Uniti, insieme alla musica è uno dei fili conduttori che mi porta ad esplorare i territori americani. Nel corso degli anni passati ho conosciuto di persona e visto con i miei occhi i luoghi che ho sempre sognato fin da piccolo.
Da ragazzo mi innamorai letteralmente di Bruce Springsteen e Johnny Cash. Le loro canzoni descrivono chiaramente scene di vita, momenti e situazioni che solo in America puoi vivere. Citando i nomi delle città, delle strade, dei fiumi e altri simboli che appartengono ad un’America rurale, patriottica, fatta di orgoglio, sacrificio e di una libertà che è costata molto cara alle vecchie generazioni che la hanno abitata.
“From California to the New York Island” recita il brano ‘This Land Is Your Land’, forse l’inno più patriottico che esista dopo il National Anthem.
Due ragazzi che viaggiano insieme sperduti in lande desolate e immense, sotto il cielo stellato del Texas, camminando per le strade desertiche dell’Ovest e nei sentiti rossastri della Carolina.
EMIR TRERÈ: CHI SONO
La mia storia parte da molto lontano, e un giorno mi arrivò la notizia – tramite una sorella “lontana” – che la persona che in teoria doveva essere mio padre biologico in realtà non lo era.
La persona che mi ha dato il cognome è un Algerino che negli anni ‘80 attraversò il Mediterraneo dal Nord Africa fino alla Francia nascosto all’interno di un container chiuso e saldato per non farsi scoprire, essendo profugo. La lontananza e il poco rapporto umano non mi ha mai fatto pensare a questa cosa con dolore, ma ammetto che in certi momenti mi sono immedesimato in lui, ed era lo stesso periodo in cui scoprivo giorno dopo giorno storie sull’immigrazione Americana, dagli irlandesi, ai polacchi, fino agli ebrei e gli Italiani che hanno attraversato l’Oceano Atlantico su una barca pericolante, con le loro pance vuote, senza scelta e possibilità, in cerca di buone speranze e con un fuoco dentro che non smetteva di ardere.
C’è effettivamente una similitudine in quello che riguardava una parte della mia vita e la storia d’America. Non potevo fare a meno di notarlo.
Sono cresciuto in una buona famiglia che mi ha preso in affidamento quando ero in fasce. Mia madre era insegnante di Italiano e mio padre di Matematica alle scuole elementari del mio piccolo paese, Medicina, nella provincia di Bologna. Lui era abituato a raccontarmi dei grandi paesaggi che facevano da culla alle popolazioni di indiani d’America. La sera me ne stavo seduto sulle sue ginocchia a guardare i film western, da lui tanto amati. Clint Eastwood divenne in fretta il mio personaggio preferito, e con lui la musica del Maestro Ennio Morricone.
Mi parlava degli animali che abitano quelle terre e della maestosità della natura incontaminata e delle leggende dei cowboys, banditi e storie da romanzo del West Americano. Io me ne stavo ad ascoltarlo per ore, e mi innamoravo di tutto.
«QUESTA TERRA È FATTA PER ME E PER TE»
Ero un giovane neo diplomato e avevo un fuoco dentro alimentato dalla ribellione giovanile e voglia di scoprire. Mordevo l’asfalto, come si suol dire, suonavo la chitarra e ascoltavo musica costantemente senza distogliere mai l’attenzione da quello che era il mio sogno più grande, toccare il suolo americano ed esplorarlo tutto.
Nel 2016 mio padre se n’è andato, lasciando me e mia madre. Nel mio animo tenevo un mare di ricordi e di momenti che non credo vivrò mai più, facendo maturare dentro di me la sana promessa che avrei seguito quel sogno al di là di ogni cosa.
Qualche amico più grande di me più d’una volta mi ha detto: «Sai che a Nashville c’è musica ovunque, tutto il giorno, mattina e sera? Si suona la musica che piace a te, la musica country! E la che devi andare».
Così nel 2019 ho caricato il mio zaino in spalla e sono salito su un aereo, destinazione Nashville, Tennessee. La città della musica.
La città che non dorme mai, proprio come Las Vegas, ma invece di giocare d’azzardo e frequentare strip club, ci si perde ad ascoltare band e artisti incredibili che suonano giorno e notte.
Il mio viaggio era composto da quattro tappe. Nashville, Memphis, tutto lo stato del Mississippi ed infine New Orleans, in Louisiana.
Venticinque giorni a zonzo per le strade d’America con lo zaino in spalla a toccare con mano quelli che erano i miei idoli. Johnny Cash, Elvis Presley, B. B. King, Robert Johnson sono alcuni dei personaggi che ho avuto la fortuna di incontrare, nei cimiteri ovviamente.
Nel 2023 ci sono tornato, e questa volta per quarantacinque giorni.
Ero in contatto con diversi amici, in diverse città, da New York a ad Austin, fino a Los Angeles mi sono ritrovato a programmare il mio secondo viaggio senza rendermi conto che sarebbe stato esattamente quello che recitava ‘This Land Is Your Land’.
CHITARRE, CHE PASSIONE
Durante il mio secondo viaggio ho attraversato tutto il paese, questa volta con la chitarra in mano. Suonando la steel guitar a New York, in Vermont e in New Hampshire, per poi finire ad Austin a suonare le mie canzoni in una sala da concerti molto famosa e tipicamente “Texana”: ABCB Ballroom, la domenica pomeriggio, davanti a centinaia di persone che ballavano Two Step a ritmo di musica country e rock’n’roll.
A Los Angeles ho avuto la fortuna di immergermi in uno dei miei temi preferiti: gli strumenti vintage. Ci sono un sacco di storie affascinanti che riguardano le chitarre elettriche e vedono come protagonisti persone del calibro di Paul Bigby, Leo Fender, Les Paul e Merle Travis. Da chitarrista, amo le chitarre, ma quanti della mia generazione conoscono la storia di quelle chitarre?
Noi diamo per scontato che la chitarra di Eric Clapton sia sempre esistita. O che la “diavoletto” di Angus Young sia la chitarra più vecchia del mondo, ma non è così. La chitarra elettrica come la conosciamo noi, ha diversi padri.
Pionieri dell’ingegneria meccanica che si sono adoperati ad esplorare, inventare e rimaneggiare idee attorno ad un pezzo di legno con le corde in ferro che ci tiene ipnotizzati davanti allo schermo ogni volta.
Grazie all’amico Deke Dickerson ho visto cose che mai mi sarei sognato nemmeno di pensare. Ho toccato con mano strumenti unici al mondo, pranzato con musicisti che hanno fatto la storia della country music di Bakersfield, California, entrato nella casa natale di Merle Haggard, all’interno di un museo a cielo aperto chiamato the Kern County Museum, in Bakersfield. Ricordo che quel pomeriggio, poco prima di andare al museo siamo andati a sentire le prove di un paio di musicisti. Erano il pianista e il chitarrista dell’ultima formazione dei Buckaroos, la band di Buck Owens.
Sul palco c’erano tre amplificatori Fender Twin Reverb degli anni ‘70 con coni JBL, gli amplificatori preferiti da Buck Owens!
Ho finito i miei giorni californiani esibendomi con Deke a Pasadena, CA mentre tra il pubblico c’era un membro dei Texas Playboys di Bob Wills. Stavo vivendo un sogno, ero affondato dentro le pagine dei libri, ai dischi e tutto quello che avevo sempre ammirato con grande interesse e passione.
Non c’era giorno che passassi senza guardare e ammirare il cielo, guardando se intorno a me c’era qualche montagna o dove era il fiume più vicino. Aprivo la mappa e guardavo dove portavano le strade e dove si trovava il parco nazionale più vicino, sperando di ritagliare un momento per uscire dal centro e perdermi nella natura. Sentivo che il mio cuore voleva stare lì. Ero in pace con l’universo e potevo vivere la vita che ho sempre sognato.
Quella terra era fatta per me.
STEEL GUITAR
“E tipo una chitarra, ma non suona uguale, questa sa cantare”
Nonostante io abbia tenuto tra le mani diverse chitarre vintage, alcune tra le più rare al mondo, non ne ho mai avuta una mia. Diverso è per quanto riguarda le Steel Guitars.
Di quelle ne ho suonate poche in effetti, ma quasi tutte sono diventate mie.
Sono letteralmente ossessionato da questi strumenti. Prima della chitarra elettrica esisteva una tavola in legno con le corde sospese che necessitava di una barra d’acciaio per suonarla. L’ingegneria meccanica e le imprese pionieristiche sulla chitarra elettrica come la conosciamo sono passate dalla Lap Steel Guitar, qualche tempo prima. Quando la mia breve carriera ha iniziato a prendere forma, mi sono avvicinato allo strumento imparando a suonare come meglio potevo. Ascoltando i dischi, acquistando manuali di insegnanti d’oltreoceano e facendo ore e ore di pratica.
Iniziai a suonare una vecchia Silvertone degli anni 60 che mi prestarono, abbastanza trasandata, poi, segno del destino, la prima steel che ho acquistato è una Gibson BR9 data 1952.
Da lì in avanti sono riuscito a trovarne altre tra cui la mia preferita, una Fender Dual Professional, due manici, otto corde ciascuno, datata Febbraio 1950. Presumibilmente montata da Leo Fender in persona, dato che la Fender a quei tempi era ancora una semplice azienda “meccanica”.
Le ultime due steel trovate sono una Kalamazoo KEH del 1939 e una seconda Fender Dual Pro con una storia oserei dire inverosimile alle spalle. Sopravvissuta ad una vera sparatoria all’interno di un bar dell’Oklahoma sul finire degli anni ’50.
In questa sezione del mio sito internet troverete tutto quello che riguarda la chitarra d’acciaio, o chitarra hawaiiana.
GLI AMICI MUSICISTI
Il mio ultimo viaggio ha consacrato il mio amore per la città di Nashville, dove ho passato due mesi standomene in città, frequentando i musicisti e le persone del posto, potendo, dopo un po’, chiamarli amici.
Se mai capitasse di trasferirmi in un paese dove si parla una lingua a me sconosciuta, probabilmente finirei per imparare quella lingua anche io. Non perché sono più bravo degli altri, ma per il semplice fatto che sta intorno a me, ne sei circondato e ad un certo punto inizi a comunicare alla stessa maniera. Con la musica funziona allo stesso modo, e quello è il mio mestiere. Come tanti altri musicisti, sento il bisogno di stare vicino ai generi che suono, per immagazzinare e apprendere il linguaggio, per esprimersi all’interno di un genere devi starci a contatto.
Così, mi sono perso a frequentare i locali di Nashville ascoltando band, cantanti e chitarristi ogni giorno e notte. Ho stretto amicizia con diverse persone e con alcuni di questi siamo diventati molto amici. Accumulando e assorbendo il vero linguaggio e il sound autentico, ma allo stesso tempo originale della country music, rispecchiando con la coerenza che mi ha sempre contraddistinto nelle mie scelte. Ogni giorno tornavo a casa con un verso o una melodia da buttare su carta, modellando in modo da farne uscire una canzone, o anche solo una parte per poterci lavorare ancora.
Ho avuto la fortuna di studiare e apprendere nozioni di musica americana da persone come Chris Scruggs, Eddie Pennington e Mark Thornton. Tra chitarra elettrica e steel guitar c’è da perdere la testa.
A Nashville ho trovato una comunità ristretta di musicisti “locali” che mi hanno accolto a braccia aperte, in una città sempre più internazionale dove la cultura wok segue il business musicale futuristico sfiorando la tradizione conservatrice creando un tessuto sociale che fa scintille, vivo e pieno di cose nuove in ogni periodo dell’anno.
C’è la musica, gli strumenti vintage, una buona cultura culinaria, le grandi strade e il cielo a perdita d’occhio, qualche buon amico con il quale andare a bere una birra, il tutto immerso nei boschi del Tennessee a poche miglia fuori dalla città. Non manca niente.
Nashville è come Las Vegas, ma invece di giocarmi i quattro spiccioli che ho in tasca, mi sono giocato il cuore. D’altronde, la posta in palio è molto più grande di qualunque jackpot.
Quella terra è fatta per me.